transessualità

Qualche definizione e riferimento socio-culturale

Qualche definizione e riferimento socio-culturale

La transessualità è la condizione di chi si identifica con un genere diverso rispetto al proprio sesso biologico. In alcuni casi la persona transessuale sente la necessità di modificare il proprio corpo con terapie ormonali chirurgia, per armonizzarlo alla propria identità. La persona che transita dal maschile al femminile (MtF) è dunque una donna transessuale, che si identifica nel genere femminile. Chi transita dal femminile al maschile (FtM) è un uomo transessuale, che si identifica con il genere maschile. Per comprendere la transessualità è fondamentale tenere presente che il sesso ha connotazioni biologiche e oggettive, mentre il genere possiede connotazioni sociali e culturali. Ciascuna cultura educa a specifici comportamenti e atteggiamenti considerati appropriati per gli individui che vivono in un determinato corpo e in un dato momento storico.

La transessualità è la condizione di chi si identifica con un genere diverso rispetto al proprio sesso biologico
dal maschile al femminile (MtF) è dunque una donna transessuale
MtF
Chi transita dal femminile al maschile (FtM) è un uomo transessuale
FtM
il sesso ha connotazioni biologiche e oggettive, mentre il genere possiede connotazioni sociali e culturali

I bambini vengono indirizzati fin dalla nascita verso il concetto socio-culturale di mascolinità o femminilità in base al loro sesso biologico. La maggior parte della popolazione trova una corrispondenza tra la propria identità di genere e il sesso cromosomico/fenotipico: si tratta di persone “cisgender. Può succedere che il genere sia vissuto in modo non armonico rispetto al proprio sesso biologico, creando un’incongruenza tra l’identità personale e le aspettative sociali basate sugli attributi sessuali: questo è il caso delle persone transgender.

corrispondenza tra la propria identità di genere e il sesso cromosomico/fenotipico: si tratta di persone “cisgender
cisgender
genere sia vissuto in modo non armonico rispetto al proprio sesso biologico
transgender
transgender

Questa premessa consente di capire quanto cambia la concezione della transessualità in base al contesto socio-culturale. In questo senso la cultura si rivela  determinante per il grado di accettazione o di stigmatizzazione delle persone transessuali. Basti pensare che alcune culture riconoscono l’esistenza di tre generi e considerano “normali” identità di genere estremamente varie, che sarebbero aspramente stigmatizzate nella società occidentale odierna. Ad esempio le persone “berdache” delle tribù nord-americane tra il ‘400 e il ‘600, gli “Hijra” dell’Asia meridionale (legalmente riconosciuti come “terzo sesso” dalla Corte Suprema dell’India nel 2014), o ancora le Ladyboys (MtF) e i Tomboys (FtM) a cui in Thailandia vengono offerte uniformi scolastiche personalizzate e appositi bagni per transgender.

la cultura si rivela  determinante per il grado di accettazione o di stigmatizzazione delle persone transessuali

 

La storia della depatologizzazione della transessualità

La storia della depatologizzazione della transessualità

Il fenomeno della transessualità appartiene alla storia dell’uomo fin dai tempi antichi. Troviamo testimonianze della mitologia greca con il mito di Tiresia, trasformato per punizione divina in donna e poi ancora in uomo, o il mito della dea Venere Castina, protettrice delle anime femminili imprigionate in corpi maschili. Si trovano riferimenti alla transessualità anche nella storia della Roma Imperiale. Lo storico Cassio Dione racconta, ad esempio, che l’imperatore Eliogabalo era disposto a offrire metà dell’Impero Romano al medico che potesse dotarlo di genitali femminili.

L’interesse medico e scientifico per la transessualità è nato nel XIX secolo e si è sviluppato in Europa intorno al 1920. In quel periodo iniziarono le prime sperimentazioni di riassegnazione chirurgica del sesso (RCS), fino ad arrivare negli anni ’30 a riconoscere l’artista danese Lili Elbe come prima donna transessuale (il film “The Danish Girl” è basato proprio sulla sua storia).

riassegnazione chirurgica del sesso (RCS)

L’evento che ha dato inizio ad accesi dibattiti sull’argomento risale al 1952, quando il New York Daily News scrisse di un uomo statunitense che si sottopose a trattamenti ormonali e chirurgici in Danimarca, pubblicando il titolo “Ex soldato diventa una bella bionda”. La divulgazione di questo caso ha consentito ai professionisti del settore medico e al grande pubblico di iniziare a parlare di transessualità.

New York Daily News
Ex soldato diventa una bella bionda

Dai sondaggi dell’epoca emerse che la comunità scientifica era piuttosto confusa sull’argomento. La maggior parte degli intervistati si dichiarò contraria a sottoporre un proprio paziente alla RCS anche in caso di esclusione di altri disturbi psichiatrici. Eppure, pensando a pazienti già operati, il 75% del campione si dichiarò favorevole alla modifica del genere sul documento di identità e al matrimonio come uomini e donne a tutti gli effetti. In altre parole, sembra che i professionisti di quel tempo sostenessero i diritti civili delle persone che avevano già terminato la transizione, ma che non volessero essere coinvolti nell’accompagnamento dei pazienti in questo percorso.

Negli anni ’70 la comunità scientifica aveva raccolto dati clinici sufficienti per descrivere la transessualità come condizione clinica a sé stante rispetto all’omosessualità. Nel 1980 l’American Psychiatric Association (APA) inserì il “Transessualismo” nella sezione dei disturbi psicosessuali del DSM-III. In questa versione, l’inquadramento diagnostico si basava sulla presenza di una persistente preoccupazione di sbarazzarsi delle proprie caratteristiche sessuali e di acquistare quelle del sesso opposto, in assenza di altri disturbi mentali. Ulteriore richiesta era specificare l’orientamento sessuale della persona, potendo scegliere tra eterosessualità, omosessualità, asessualità o non specificato.

Transessualismo

Nella edizione del DSM-IV (APA, 1994), il termine “Transessualismo” fu sostituito dal “Disturbo dell’Identità di Genere” (DIG) nella sezione dei disturbi sessuali e dell’identità di genere. In questa versione, la diagnosi si basava sulla persistente identificazione col genere opposto e sul malessere riguardo al proprio sesso di nascita, tale da causare una compromissione delle aree importanti del funzionamento della persona. Inoltre, si richiedeva di specificare per chi il soggetto provasse attrazione sessuale, tra le alternative maschi, femmine, sia maschi che femmine, né maschi né femmine.

Transessualismo
Disturbo dell’Identità di Genere

La comunità scientifica ha rivoluzionato la sua posizione nei confronti della transessualità nell’ultima edizione del manuale, il DSM-5 (APA, 2013), sostituendo il termine “Disturbo dell’identità di genere” con “Disforia di genere, che conquista un capitolo a sé, separandosi così dalla sezione delle disfunzioni sessuali e dei disturbi parafiliaci. L’attuale panorama scientifico ha ufficializzato che «la non conformità di genere non costituisce in sé un disturbo mentale. L’elemento critico della Disforia di genere è la presenza di distress clinicamente significativo associato alla condizione» (APA, 2013b). Dal 2013, dunque, la transessualità non è più considerata una malattia. Si tiene conto che alcune persone transessuali potrebbero provare un forte disagio psicologico per l’incongruenza tra il proprio sesso biologico e il genere in cui si identificano. Mentre coloro che vivono in modo sereno la propria transessualità non dovrebbero ricevere alcuna diagnosi, in quanto persone non disturbate.

DSM-5
sostituendo il termine “Disturbo dell’identità di genere” con “Disforia di genere
#
Disturbo dell’identità di genere
Disforia di genere
«la non conformità di genere non costituisce in sé un disturbo mentale. L’elemento critico della Disforia di genere è la presenza di distress clinicamente significativo associato alla condizione»
«la non conformità di genere non costituisce in sé un disturbo mentale.
Dal 2013, dunque, la transessualità non è più considerata una malattia

L’attuale inquadramento presenta inoltre tre importanti novità rispetto alle precedenti edizioni del manuale:

1) non è più richiesto di specificare l’orientamento sessuale del soggetto

2) le persone intersessuali possono ora essere incluse nella diagnosi di disforia di genere

3) coloro che hanno già effettuato la transizione (con o senza legalizzazione del cambio di genere) possono continuare ad avere accesso ai trattamenti di sostegno.

 

Psicologia e transessualità in Italia: dove siamo oggi

Psicologia e transessualità in Italia: dove siamo oggi

Il cambiamento rivoluzionario verso la depatologizzazione della transessualità si è mosso per ridurre lo stigma verso le persone transessuali, pur continuando a garantire l’accesso ai trattamenti ormonali e chirurgici. Questi infatti, senza una diagnosi, non sarebbero coperti dalle assicurazioni sanitarie. Comprendo che il passaggio obbligatorio dalla diagnosi per accedere al percorso di transizione porti con sé questioni assai delicate. Attualmente però credo sia più importante garantire questa possibilità a chi la sente necessaria per il proprio benessere psicologico.

depatologizzazione della transessualità
ridurre lo stigma verso le persone transessuali, pur continuando a garantire l’accesso ai trattamenti ormonali e chirurgici

La soluzione che è stata adottata consiste in un sostanziale cambiamento della terminologia, che ora diagnostica le persone come “disforiche” e non più “disturbate“. Ciò descrive non una forma di psicopatologia, ma un disagio derivante dalla condizione estremamente stressante – in quanto molto rara rispetto al resto della popolazione. Solo diagnosi di Disforia di Genere è possibile accedere allo step della terapia ormonale sotto controllo endocrinologico.

cambiamento della terminologia, che ora diagnostica le persone come “disforiche” e non più “disturbate“
disagio derivante dalla condizione estremamente stressante

I centri italiani che si occupano di transizione seguono il protocollo ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere) o il protocollo WPATH (World Professional Association for Transgender Health). Questi si differenziano rispetto al momento e all’obbligatorietà della psicoterapia (comunque fortemente consigliata) durante l’iter di transizione. Al di là delle diverse prassi, vorrei sottolineare l’importanza di un percorso di psicoterapia sia durante sia dopo questa vera e propria trasformazione della persona. Un cambiamento così radicale, per quanto sentito come necessario per il proprio benessere psicologico, potrebbe portare a momenti emotivamente difficili. Un supporto terapeutico può aiutare la persona ad elaborare i suoi vissuti man mano che prende spazio la nuova espressione di genere (atteggiamenti, aspetto esteriore). Soprattutto, la terapia può favorire la stabilità del benessere psicologico della persona transessuale nella sua nuova vita.

protocollo ONIG
protocollo WPATH
nuova espressione di genere

 

[maxbutton id=”1″ ]