Quando si parla di omosessualità in psicologia o psicoterapia, spesso l’attenzione è rivolta esclusivamente all’orientamento sessuale di chi richiede un sostegno psicologico o una psicoterapia. Eppure anche l’orientamento sessuale del clinico gioca un ruolo fondamentale nella relazione terapeutica, a partire dal momento della scelta del/della professionista e lungo l’intero percorso. In questo articolo, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione su come l’orientamento sessuale del terapeuta possa influire nel lavoro clinico con pazienti omosessuali.
Parlando di psicologia delle persone gay e lesbiche, credo sia importante andare oltre la specifica identità sessuale e il senso di appartenenza alla comunità LGBT, per approfondire la qualità delle relazioni con le persone eterosessuali. Questo articolo approfondisce il ruolo giocato dagli/dalle eterosessuali che quotidianamente dimostrano solidarietà nei confronti delle persone omosessuali e dei loro diritti. Vedremo come l’atteggiamento “gay-friendly” può rendere possibile una vera inclusione di chi si è scoperto non-eterosessuale.
Le persone che si rivolgono a un professionista della relazione d’aiuto o della salute mentale sono mossi da motivazioni uniche e personali, ma provando a cercare i bisogni comuni, si può dire che esse si presentano come emotivamente perturbate da stimoli interni o esterni, e chiedono aiuto per recuperare uno stato di sicurezza e benessere, che nel qui e ora non riescono ad attualizzare (Sandler e Sandler, 2002).
Gli studi sull’efficacia delle psicoterapie attestano che il 70-80% dei pazienti ottengono benefici indipendentemente dall’orientamento teorico del terapeuta (Gazzillo, Genova, Lingiardi, Waldron, 2013). Tutti i trattamenti sono efficaci, ma nessuno è più efficace di altri. I fattori implicati nell’efficacia delle psicoterapie sarebbero dunque quelli aspecifici, trasversali ai diversi approcci, riconducibili alla relazione tra il paziente e il terapeuta. I fattori più indagati sono l’alleanza terapeutica e l’empatia percepita dal paziente (Gazzillo, Genova, Lingiardi, Waldron, 2013).
Scrive Erica (nome di fantasia), 33 anni: “Sono una giovane mamma e sto avendo qualche problema nel gestire l’arrivo del mia seconda figlia Elena, ora di 10 mesi, da parte della mia primogenita Martina, di 4 anni. Da quando Elena è arrivata a casa, Martina è diventata assolutamente ingestibile, è evidente la sua gelosia. E’ irrequieta e quando gioca lancia per la stanza tutto quello che le capita a tiro e poi si rifiuta di riordinare. L’impressione è che voglia indispettire apposta me e mio marito.
Sono molto preoccupata anche per il rapporto tra le mie figlie. Mi è capitato di vedere Martina abbracciare Elena così forte da temere che la strozzasse. Questo mi rende difficile creare momenti di gioco che coinvolgano entrambe per paura che la piccola si faccia male. In tutto questo, io e mio marito stiamo rivolgendo a Martina molte attenzioni per cercare di smorzare la sua gelosia nei confronti di Elena. Ma mi sembra che stia diventando estremamente viziata e che pretenda sempre di più.
Come possiamo gestire la situazione perché le nostre figlie possano andare d’accordo ed essere entrambe serene?”.