È più che mai attuale l’argomento hate speech, soprattutto sui social network.
Ma anche la vita reale ci immerge costantemente in interazioni particolarmente aggressive, maleducate e ostili. Questo non vale solo per gli sconosciuti in situazioni come la guida, le file, i mezzi pubblici, ecc. Chiunque avrà in mente almeno una persona (familiare, collega, amica) che è solita rivolgersi agli altri con modi e toni sgarbati. E che fa passare questo atteggiamento come una manifestazione di forza.
Oltre ad essere l’arte del movimento, la danza è un’attività capace di fare bene al corpo e all’anima al punto di essere prescritta dai medici inglesi come se fosse un farmaco. Le evidenze scientifiche sono tutte favorevoli a premiare la danza per i suoi effetti positivi sull’umore, l’immagine corporea, le relazioni, il sistema cardiocircolatorio, il peso corporeo, la plasticità neuronale… Insomma, ballare favorisce un miglioramento della salute psicofisica.
Il sistema sanitario inglese ha raccolto le osservazioni dei medici di base su chi frequentava più spesso i loro studi.
I buoni propositi aiutano ad attivare le energie per migliorare la qualità della vita, ma spesso si tratta di un entusiasmo che dura poche settimane, generando frustrazione e sensi di colpa. Esistono però alcune strategie per aumentare notevolmente le probabilità di realizzare i cambiamenti desiderati: scopriamo quali sono.
Parlando di psicologia delle persone gay e lesbiche, credo sia importante andare oltre la specifica identità sessuale e il senso di appartenenza alla comunità LGBT, per approfondire la qualità delle relazioni con le persone eterosessuali. Questo articolo approfondisce il ruolo giocato dagli/dalle eterosessuali che quotidianamente dimostrano solidarietà nei confronti delle persone omosessuali e dei loro diritti. Vedremo come l’atteggiamento “gay-friendly” può rendere possibile una vera inclusione di chi si è scoperto non-eterosessuale.
Attualmente la comunità scientifica non considera più la transessualità come una patologia, eppure nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) si continua a fare riferimento ad essa: perché? Per capire la posizione ufficiale dell’American Psychiatric Association (APA) è importante conoscere la storia dell’inquadramento diagnostico delle persone transessuali. Sono però necessarie alcune premesse fondamentali per comprendere la transessualità, senza cadere in stereotipi o false credenze.
Le persone che si rivolgono a un professionista della relazione d’aiuto o della salute mentale sono mossi da motivazioni uniche e personali, ma provando a cercare i bisogni comuni, si può dire che esse si presentano come emotivamente perturbate da stimoli interni o esterni, e chiedono aiuto per recuperare uno stato di sicurezza e benessere, che nel qui e ora non riescono ad attualizzare (Sandler e Sandler, 2002).
Gli studi sull’efficacia delle psicoterapie attestano che il 70-80% dei pazienti ottengono benefici indipendentemente dall’orientamento teorico del terapeuta (Gazzillo, Genova, Lingiardi, Waldron, 2013). Tutti i trattamenti sono efficaci, ma nessuno è più efficace di altri. I fattori implicati nell’efficacia delle psicoterapie sarebbero dunque quelli aspecifici, trasversali ai diversi approcci, riconducibili alla relazione tra il paziente e il terapeuta. I fattori più indagati sono l’alleanza terapeutica e l’empatia percepita dal paziente (Gazzillo, Genova, Lingiardi, Waldron, 2013).
Scrive Antonio (nome di fantasia): “Buongiorno, sono il papà di Davide (nome di fantasia), 10 anni, frequentante la quinta elementare. Davide presenta alcuni problemi (disturbi? Atteggiamenti normali?) che cercherò di spiegare come meglio riesco. È molto agitato, gli riesce difficile stare fermo (a leggere, fare i compiti); ha problemi di attenzione e concentrazione, sembra sempre iperattivo. Inoltre “mastica” convulsamente penne, gomme, matite; mette in bocca tutto poi (cerniere, maglie). A volte agiamo con punizioni (TV, giochi elettronici) quando viene ripreso da maestre, e/o quando non si comporta bene in casa. Caratterialmente sembrerebbe un po’ debolino, ma in diverse occasioni, scolastiche e non, dimostra una buona intelligenza, proprietà di linguaggio ecc. Potrebbe essere un problema organico (tiroide)? Come potrei aiutarlo, come genitore/educatore? Grazie”
Scrive Patrizia (nome di fantasia), 41 anni: “Vorrei chiedere alla psicologa il suo parere su un episodio avvenuto alla festa di compleanno di mia figlia, che ha 10 anni. Abbiamo invitato le sue amiche di scuola a casa per festeggiare, e al momento del dolce una sua compagna ha rifiutato la fetta di torta dicendo “no per me no, sono a dieta”. Questa frase mi ha lasciata basita, non avevo mai visto una bambina che rifiuta un dolce pensando alla linea! E si tratta di una bambina assolutamente in normopeso. Perciò ho provato a insistere dicendo che non ha bisogno di stare a dieta e che a tutti è concesso festeggiare con una fetta di torta. Ma lei ha rifiutato di nuovo.
L’ho riferito a sua madre quando è venuta a prenderla, e lei si è messa a ridere, dicendo che in famiglia sono tutti a dieta. Sul momento non ho detto nulla, ma il buonsenso mi dice che una bambina di 10 anni deve poter mangiare con tranquillità una fetta di torta a una festa. Sinceramente ho paura che possa influenzare anche mia figlia con queste paranoie, e vorrei parlarne con sua madre ma non so come. Chiedo suggerimenti alla psicologa”.
Scrive Simona (nome di fantasia), 42 anni: “Vorrei chiedere un consiglio da mamma separata che sta vivendo per la prima volta il periodo natalizio dopo la separazione. Mio figlio Andrea ha 6 anni e credo stia soffrendo molto in questi giorni. So che avrebbe voluto festeggiare il Natale con la famiglia riunita, invece io e il padre abbiamo deciso di fare festeggiamenti separati. Andrea ha trascorso Natale con me, il mio compagno e i nonni materni, e per Santo Stefano è stato col padre, la sua compagna e i nonni paterni. Gli accordi sono che resterà con me fino a Capodanno, mentre starà con suo padre i primi giorni di gennaio.
Da genitori abbiamo preso questa decisione in buona fede. Volevamo evitare l’ipocrisia di riunirci di nuovo solo per il pranzo di Natale, e non volevamo dare ad Andrea la falsa speranza che io e suo padre potessimo tornare insieme. Ora temo di aver fatto la scelta sbagliata, perché nei giorni di festa ho visto lo sguardo triste e deluso di mio figlio, e da madre questo mi ha distrutta. Inizio a pensare di essere stata egoista e di non aver pensato al suo bene. Ma poi cerco di giustificarmi pensando che la nostra quotidianità ormai è così, e non voglio confondere Andrea, soprattutto ora che io e suo padre abbiamo nuove relazioni.
Cerco un suggerimento per rimediare a questa situazione ed eventualmente organizzare meglio il prossimo Natale, chiedo consiglio alla psicologa, grazie”.